La famosa rivista National Geographic che racconta il mondo dei viaggi, nell’edizione Traveler di Autunno, dedica un ampio spazio alla Costa dei Trabocchi e alla sua particolarità. “Usati da secoli per la pesca, oggi questi monumenti alla cultura marinara abruzzese sono stati riscoperti e trasformati. Da Ortona a Vasto, in un susseguirsi di storia, tradizioni, emozioni legate a queste splendide macchine da pesca che tanto richiamo turistico tanno avendo negli ultimi anni complica che il contesto, ovvero la Costa dell’Abruzzo in cui sono visitabili.

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“Nel romanzo “Trionfo della morte”, Gabriele D’Annunzio li definì “grandi macchine pescatorie composte di tronchi scortecciati di assi e di gomene che biancheggiavano singolarmente simili allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano”.

Io sono meno poetico, e la prima volta che li ho visti ho pensato a grossi e inquietanti ragni posati sulle acque del Mar Adriatico. Giunto a Vasto mi hanno spiegato che quelle fragili palafitte in legno che avevo incontrato in uno dei tratti più suggestivi della costa abruzzese, collegate alla terraferma da una traballante passerella e sorrette quasi miracolosamente da una ragnatela di cavi e assi, si chiamavano trabocchi.

L’origine dei trabocchi è incerta e avvolta da diverse leggende. Tra le tante che ho sentito vi propongo quella che mi è sembrata più credibile e che narra di un gruppo di falegnami e funai, probabilmente ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna, che intorno alla fine del Seicento raggiunse la costa dell’Abruzzo dove, non sapendo andare per mare, inventò queste strane macchine che permettevano loro di pescare senza dover usare barche.

I trabocchi vennero adoperati per secoli – prevalentemente nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, per la pesca di cefali, ombrine e spigole e in giugno per le sarde e il novellame – fino ai primi del Novecento, quando nel tratto che va da Ortona a Vasto se ne contavano ancora 50, utilizzati da oltre 100 famiglie.

Oggi, dopo decenni di abbandono, i trabocchi sono stati riscoperti dalla condotta Slow Food di Lanciano, che ne ha promosso, insieme agli enti locali, il recupero finalizzato alla loro trasformazione in monumenti alla cultura marinara abruzzese e la trasformazione in rustici locali dove assaporare il pesce appena raccolto dalla grande rete (bilancia) che, sostenuta da bracci di legno (antenne), viene calata e issata con l’aiuto di un grande argano fissato al centro della palafitta.

Il casottino di legno, che originariamente fungeva da riparo per i pescatori, è stato trasformato in minuscola cucina, mentre i pochi tavoli vengono apparecchiati sulla stretta piattaforma esterna. Un uso non condiviso da tutti, e in particolare dalle sezioni abruzzesi di Italia Nostra, preoccupate per la sicurezza delle antiche strutture e per il loro snaturamento. È un dibattito in corso, che troverà probabilmente le giuste mediazioni ma che non mi ha impedito di andare alla ricerca dei trabocchi più suggestivi e meglio restaurati, che ho scoperto trovarsi in quel tratto di Abruzzo che oggi prende giustamente il nome di Costa dei Trabocchi.

Per visitarla sono partito da Ortona, città marinara purtroppo parzialmente distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

Qui ho esplorato i piaceri di un ottimo vino bianco secco profumato, il Pecorino, già conosciuto nel Cinquecento e riscoperto solo di recente, abbinando la degustazione alla visita del Castello Aragonese, costruito nel 1445 sul promontorio a picco sul mare chiamato La Pizzuta, e del cinquecentesco Palazzo Farnese, oggi sede della Pinacoteca Cascella.

Nativo di Ortona, Michele Cascella (1892-1989) è stato un pittore e paesaggista crepuscolare; nel museo si ammira una cinquantina di sue opere, assieme a quelle dei fratelli Tommaso e Gioacchino, del nipote Pietro e del padre Basilio.

Non se ne abbiano i Cascella, ma i trabocchi mi attendono, e dopo aver rapidamente ammirato i loro dipinti prendo la strada costiera in direzione sud fino a raggiungere il tratto più incontaminato del litorale abruzzese, che inizia nei pressi della Marina di San Vito Chietino.

Il primo incontro è a Punta Turchino, in località Portelle, dove “all’estrema punta del promontorio destro, sopra un gruppo di scogli, si protende un trabocco”, per dirla con le parole del Vate.

Danneggiato da una mareggiata nel 2014, questo trabocco è da poco ritornato a nuova vita come simbolo della cultura marinara e delle tradizioni abruzzesi.

Poco lontano, nei pressi del piccolo borgo marinaro di Vallevò, ecco il trabocco di Punta Tufano, dove sono incerto se scegliere un’accurata visita al centro di documentazione dedicato ai trabocchi, all’ambiente costiero nel quale sono inseriti e alla cultura locale – con tanto di prova di pesca – o sedermi direttamente a tavola per immergermi nei sapori del mare proposti dalla cucina di Maria. Se non avete prenotato – i posti sono davvero pochi – provate un po’ più a sud, ai trabocchi Sasso della Cajana, Punta Isolata o Punta Cavalluccio, dove si può mangiare, e pure bene, coccolati dalle onde, sempre che non soffi la tramontana.

Siete così arrivati alle porte dell’incantevole Golfo di Venere, dominato dall’antica Abbazia di San Giovanni in Venere, un monastero del XII secolo che rappresenta uno dei monumenti religiosi più importanti d’Abruzzo e che quindi offre la possibilità di una doverosa deviazione nel nostro viaggio lungo il litorale. Dopo essere scesi nella cripta situata sotto l’altare maggiore, dove fanno bella mostra di sé alcune colonne di epoca romana appartenenti all’antico tempio di Venere, ritorniamo rapidamente alle “grandi macchine pescatorie” che emergono dall’Adriatico.

Proseguendo in direzione di Fossacesia, ecco il trabocco Punta Punciosa, oggi regno di Monica e Loris e della loro visione della cucina marinara abruzzese; il trabocco Punta Torre e il vivace trabocco Pesce Palombo, che non si limita a celebrare la secolare tradizione dei traboccanti ma organizza diversi eventi musicali e serate a tema, come la misteriosa cena con delitto.

Ma non esageriamo con la mondanità; è ora di dedicare un po’ di tempo a uno dei pochi boschi litoranei sull’Adriatico dove vive e si riproduce la testuggine terrestre. Eccoci quindi all’interno della Riserva naturale regionale Lecceta Litoranea di Torino di Sangro, dove smaltire le abbondanti libagioni offerte dai trabocchi con rilassanti passeggiate fino al mare lungo i due sentieri tracciati tra le piante tipiche della macchia mediterranea, dove trovano rifugio molte specie di uccelli, mammiferi, rettili e insetti.

L’ultimo trabocco lo incontriamo un po’ più a sud, nella Riserva naturale di Punta Aderci, tra le spiagge selvagge, i punti panoramici e i sentieri che attraversano l’area protetta.

Il nostro viaggio lungo la Costa dei Trabocchi termina a Vasto, l’antica Histonium, chiamata per la sua bellezza “Atene degli Abruzzi”. Dopo una passeggiata nel centro storico, con soste alla chiesa di Santa Maria Maggiore, in cui è conservata la reliquia della “Sacra spina”, ovvero un pezzo della corona di spine che avrebbe cinto la testa di Gesù Cristo, al vecchio Castello Caldoresco e al cinquecentesco Palazzo D’Avalos, oggi sede del Museo Archeologico e della Pinacoteca, proseguite per il Parco Archeologico delle Terme Romane, per farvi incantare dalla bellezza dei mosaici con scene marine. Io però non mi sono fermato alle terme, ho terminato il mio viaggio alle porte del misterioso Palazzo della Penna, sulla spianata omonima. Un edificio seicentesco costruito, secondo la leggenda, in una sola notte da cento diavoli nel luogo dove pare sorgesse la splendida città di Buca, misteriosamente sparita nel nulla: una vera e propria Atlantide abruzzese”.

Fonte:  https://www.viaggiando-italia.it/ – http://www.nationalgeographic.it