Nel nuovo decreto ci sono due nuovi strumenti che presto potremmo vedere in città: le corsie ciclabili e le “case avanzate”
L’articolo 232 del cosiddetto “decreto rilancio”, che dovrebbe essere pubblicato nelle prossime ore sulla Gazzetta Ufficiale, contiene diverse misure per incoraggiare l’utilizzo di mezzi di trasporto più sostenibili: un’esigenza diventata ancora più urgente dopo l’allentamento delle restrizioni contro il coronavirus, che rischiano di rendere le città più trafficate di prima vista la riduzione della capienza dei mezzi pubblici.
Oltre a un consistente “bonus bici” per l’acquisto di biciclette, monopattini elettrici e segway, il decreto prevede anche alcune modifiche del codice della strada che dovrebbero rendere più facile ai comuni sottrarre spazio alle automobili per darlo alle biciclette: uno dei metodi più citati dagli esperti per ridurre lo smog e ripensare gli spazi pubblici in modo più inclusivo.
Le modifiche prevedono l’introduzione nel codice della strada, cioè nel decreto legislativo 285 del 1992, dei concetti di “corsia ciclabile” e “casa avanzata”: due strumenti utilizzati in combinazione fra loro in alcune città europee per modificare radicalmente la strada con tempi e costi praticamente nulli e risultati molto significativi.
La corsia ciclabile
Il comma 3 lettera a dell’articolo 232 del “decreto rilancio” prevede che all’articolo 3 del codice della strada, che elenca gli elementi realizzabili in una strada, venga aggiunta anche la “corsia ciclabile”, «una parte longitudinale della carreggiata, posta a destra, delimitata mediante una striscia bianca discontinua, valicabile e ad uso promiscuo, idonea a permettere la circolazione sulle strade urbane dei velocipedi nello stesso senso di marcia degli altri veicoli e contraddistinta dal simbolo del velocipede».
È una definizione piuttosto contorta per descrivere lo spazio ricavato per le biciclette sul lato destro della corsia di una strada urbana, pitturato con la vernice. Una definizione simile si trova anche in un decreto ministeriale del 2000 che regola la costruzione di piste ciclabili, in cui le corsie ciclabili vengono definite “corsie riservate”.
Le corsie previste nel 2000 erano leggermente diverse: non prevedevano la linea discontinua, che permette di affiancare alla corsia un parcheggio, e dovevano essere ampie almeno 1,5 metri, cosa che impediva la loro realizzazione nelle strade più strette. In assenza di norme aggiornate, inoltre, venivano costruite soltanto delle amministrazioni più creative come quella di Reggio Emilia, in Emilia-Romagna. «Molti tecnici hanno timore di costruire cose del genere finché non esce una norma chiara che lo consente», spiega Matteo Dondé, architetto e urbanista che si occupa di mobilità ciclistica.
In un primo momento il governo aveva ipotizzato di rendere disponibili le corsie ciclabili anche alle moto, cosa che aveva attirato le proteste dei gruppi di pressione dei ciclisti. Nel documento finale le corsie sono destinate ai «velocipedi», un’espressione con cui il codice della strada identifica biciclette e simili.
Il governo non aveva inventato niente, nemmeno nel 2000. Le corsie ciclabili sono da anni uno degli strumenti più rapidi ed economici per realizzare uno spazio sicuro riservato ai ciclisti in modo da proteggerli dal traffico dei veicoli a motore. Come diversi esperimenti dell’urbanismo tattico, che prevede interventi temporanei sullo spazio pubblico con mezzi di fortuna, erano nate in un contesto informale e di protesta per poi essere adottate via via dalle autorità locali, anche in Italia.
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