Se è vero che per molti parlare di bicicletta significa andare col pensiero alle mitiche imprese dei “giganti” Fausto Coppi e Gino Bartali, per tutti – anche per i giovanissimi dei nostri tempi – muoversi pedalando sulle due ruote evoca probabilmente due cose, infanzia e libertà: ecco perché è davvero adatto a ogni generazione il libro di Stefano Pivato, dal titolo “Storia sociale della bicicletta”, edito da il Mulino, nel quale si offre al lettore un ritratto appassionato della bicicletta. Pagine densissime – di capitoli, di dati storici, di aneddoti, anche di fotografie, con un inserto dedicato alle bellissime fotografie di Ezio Quiresi – raccontano un mito lungo 150 anni: del resto è innegabile che la bicicletta – che è molto più di un semplice mezzo di trasporto come si direbbe oggi “sostenibile” – sia stata, fin dalla sua comparsa verso la fine dell’800, uno strumento di svago e di lavoro capace di accompagnare i cambiamenti del nostro Paese, seguendo l’evolversi degli stili di vita degli italiani.
    Dapprima il biciclo, poi la trasformazione in triciclo, nel tentativo di risolvere i problemi di equilibrio e di conduzione, infine nel 1897 la forma definitiva con l’invenzione della ruota libera e la scelta, mai più variata, del nome: ecco la bicicletta, emblema di modernità e di comodità, ma anche oggetto che l’autore definisce “perturbante”, capace di dare scandalo.
    Con un approccio brillante, Pivato nel libro si sofferma proprio sugli aspetti sociali legati al nuovo veicolo: la bicicletta da subito ha diviso la platea dei possibili fruitori in sostenitori e detrattori, tra chi la considerava un’occasione da cogliere al volo per migliorare la propria quotidianità e chi invece la vedeva come un attentato all’onore delle donne o alla dignità dei preti, o ancora perfino un incentivo alla criminalità.
    Quello che è certo è che la bicicletta ha attraversato il ‘900 compiendo una corsa “straordinaria” tra guerre, movimenti politici e ideologie, accompagnando le gesta di campioni-eroi che hanno impresso i propri nomi nella storia del ciclismo e unendo la cultura alta a quella bassa nel nome dello sport (tra cantastorie e grandi intellettuali), e ancora essendo testimone partecipe di tutti i cambiamenti del costume, della società, dell’economia fino ai giorni nostri.
    Anche oggi infatti, che con la nuova coscienza ambientalista e “a basso consumo” pedalare diventa una filosofia di vita per esprimere valori ecologici ed etici, la bicicletta è ancora una volta protagonista, simbolo però di antimodernità e di ritorno al passato non globalizzato, più felice e a misura d’uomo. Non può che essere vera quindi l’affermazione di Gianni Brera, riportata all’inizio del libro da Pivato: “Traverso le viti di una bicicletta si può anche scrivere la storia d’Italia”.

Fonte: https://www.ansa.it/